direttoraQuest’anno festeggio i miei venti anni di attività professionale. Il mio primo articolo uscì sul Giornale di Calabria a settembre. Spesso, soprattutto in questo periodo, mi trovo a pensare se la nostra categoria è davvero così romanticamente utile alla società, soprattutto quando assisto a guerre tra colleghi, quando alcuni iscritti all’albo offendono la nostra professione e non ne sono degni. Quando questa attività, che è solo di servizio, diventa protagonismo fine a se stesso.  Proprio  ieri ne parlavo con un collega molto più esperto e competente di me, chiedevo e mi chiedevo se davvero vale la pena fare questo lavoro, se davvero siamo utili alla società. Poi, mi è arrivata una lettera, di una persona che ha scelto la mia emittente, la nostra redazione, me, indegna, per raccontare la sua storia. Allora capisco che forse non tutto è perduto, il nostro lavoro, se decide di darsi un’etica, ha un grande valore, quello della divulgazione, dell’approfondimento e della comunicazione corretta, forse, del cambiamento.

La Storia di “Maria”. Una storia che deve essere rispettata, che proviene da un luogo lontano e che solo adesso, questa donna ha deciso di raccontare.

Una storia che sa di amaro, di grande amore ma anche di sacrificio, di rabbia sopita e di dolore che consuma. Qualcuno leggendola la comparerà alle storie orribili di questi giorni e non ne sarà meravigliato, una storia come tante, niente di incredibile. Ecco, la soglia della nostra sensibilità si è abbassata gravemente. Leggendo questa storia, di questa donna che ha deciso di cominciare a parlarne, ho pensato a quanta delicatezza sia tolta a molte donne, direttamente e indirettamente, trasformandola in rabbia; una mia amica psicologa che si batte per lavorare sulla violenza assistita mi direbbe che è un caso di scuola. Quanta sofferenza può derivare dal dolore continuo, centellinato per tutta una vita? Quanto riesce a farla diventare insopportabile? Io non ho molto da aggiungere, leggete questa storia con la sensibilità che merita. Traiamone spunto di riflessione per comprendere quanto vasto sia il tema degli effetti della violenza sulle donne, quanto lavoro dobbiamo fare. Grazie amica, mi hai chiesto di rimanere anonima, io rispetto la tua volontà; un giorno secondo me, quando sarà maturato il tuo dolore, lo racconterai a quelle giovani donne e ai quei giovani uomini che devono sapere quali effetti produce un gesto troppo spesso sottovalutato nel suo orribile significato.

Nasco negli primi anni 50 c/o una famiglia considerata “benestante”. Nonna era una proprietaria terriera e aveva lasciato ai sette figli abbastanza terreno da renderli a loro volta un buon partito. Papà era impiegato c/o un Ente locale e questo gli permetteva di avere uno stipendio del tutto rispettabile. Si era sposato con mamma, persona molto umile perché cresciuta in una famiglia di contadini la cui educazione verteva principalmente nell’insegnare ai figli di coltivare la terra e raccogliere erba in campagna per foraggiare gli animali che tenevano nelle stalle. Mamma era analfabeta perché in casa dei miei nonni materni la scuola era solo una perdita di tempo ma, con la sua poca cultura, è riuscita a trasmetterci dei grandi valori che ha hanno permesso a noi cinque figli di mantenere unita la grande famiglia di origine, anche dopo la sua morte.
Questo handicap di mamma , per papà, era un buon motivo per azzittirla continuamente quando cercava di intervenire in una qualsiasi discussione e lo faceva intimandola con la frase “zitta tu che sei ignorante” . Mamma taceva e si azzittiva senza replicare… il solo fatto di essere stata scelta come moglie per lei era un privilegio e poi…. era tanto innamorata di papà che, pur mantenendole una vita agiata, spesso la trattava come fosse una donna di servizio.
Però siamo…sono cresciuta nel benessere!! Quale condizione migliore in un’epoca dove la maggior parte delle famiglie si nutrivano di aria e povertà e i figli crescevano rachitichi perché non c’erano soldi sufficienti neanche per curarsi??
Potevamo essere una famiglia felice e forse in alcuni momento lo siamo anche stati ma…. papà all’interno delle mura domestiche non era sempre quel Signore per bene che tutti conoscevano e stimavano e con mamma non aveva quel rispetto da gentleman che usava sempre con le altre donne.
Mamma, molto spesso, subiva la rabbia di papà che sfociava in una violenza ingiustificata … il suo picchiarla era il solo modo che conoscesse per “educarla”.
Si.. sono cresciuta nel benessere ma…. ho conosciuto la violenza sulle donne fin da quando ero ancora bambina e questa violenza è durata fino a quando mamma, in punto di morte, ha rifiutato di mangiare un uovo che papà le voleva imporre perché, a suo dire, la tirava su. Mamma è morta solo poche ore dopo quello schiaffo dato con rabbia e prepotenza!!
Ho odiato papà per tutta la vita…l’ho odiato tanto quanto sono stati gli anni di violenza che ha usato su mamma…. sempre….. fino a oggi.
Quegli schiaffi dati a mamma tutte le volte si trasformavano in coltelli che mi trafiggevano il cuore e mi odiavo perché, presa dalla paura, non sono mai riuscita a fermarlo, anche quando cresciuta avrei potuto farlo!!
L’ho odiato e ancora adesso, che ha 96 anni e si è ridotto in uno scricciolo, provo nei suoi confronti una rabbia incontrollabile che, all’età di 64 anni, non riesco in nessun modo a mandar via.
Sono stata e sono ancora adesso la figlia ribelle che non è MAI riuscito a domare. Ogni litigata sfocia a delle reazioni esagerate da parte mia, quelle stesse reazioni che in cuor mio ho sempre sperato avesse avuto mamma quando era in vita.
Le conseguenze di queste violenze sono ben radicate dentro la mia mente e dentro il mio cuore…. Si manifestano tutte le volte che mi devo confrontare con degli uomini o tutte le volte che qualche uomo si permette di mancarmi di rispetto!!”