A teatro tra visioni, esperienze e territori: oltre 400 panchine giganti nel mondo per un nuovo sguardo sul turismo, l’inclusione e la meraviglia

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Fiuggi – Sedersi su una panchina e sentirsi piccoli. Non per fragilità, ma per stupore. È questo il segreto delle Big Bench: giganti di legno colorato che, affacciate su paesaggi mozzafiato, restituiscono agli adulti il senso dell’infanzia e ai luoghi la possibilità di rinascere. Sabato 7 giugno, nella cornice del Teatro Comunale di Fiuggi, si è svolto il Secondo Convegno Nazionale del Big Bench Community Project (BBCP), appuntamento annuale che non è solo confronto tecnico, ma festa del sentire comune, della bellezza condivisa e della forza delle piccole comunità.

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L’evento, promosso dalla fondazione BBCP insieme a Danilo Pastorelli (promotore della BB n. 328) e al Comune di Fiuggi, ha radunato promotori, istituzioni, viaggiatori e “panchinisti” da ogni parte d’Italia, uniti da un’idea semplice e rivoluzionaria: guardare il mondo da un’altra prospettiva.

 

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Nel suo saluto iniziale, Chris Bangle, visionario designer americano e fondatore del progetto, ha ricordato l’origine quasi poetica delle Big Bench: «Non si tratta solo di panchine. È il contesto che cambia tutto. Chi ci sale sopra cambia sguardo, scala, percezione. Torna bambino». E in effetti, chi visita una Big Bench lo sa: quelle assi giganti non sono solo attrazioni, ma portali emotivi verso un turismo dell’anima.

 

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Con lui, sono intervenuti esponenti delle istituzioni locali e regionali – tra cui l’assessora Laura Latini e l’assessore David De Santis – che hanno sottolineato il valore delle panchine giganti come volano turistico e simbolo identitario.

 

Oggi le Big Bench ufficiali superano quota 400 nel mondo, ma il loro cuore batte forte in Italia. A raccontarne gli effetti concreti sono state testimonianze appassionate: da Sperlonga, dove la BB affacciata sul mare è diventata calamita turistica (installata con un elicottero!), a Lariano, dove una “Big Bench per tutti” è stata costruita e dipinta insieme a ragazzi con disabilità, per rendere l’inclusione un fatto concreto.

 

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Esperienze diverse, un solo messaggio: le panchine non sono mai solo panchine, ma segnavia di un racconto collettivo che unisce generazioni, rilancia i borghi, crea economia locale e legami veri.

 

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Ma come ogni sogno che cresce, anche il mondo delle Big Bench si confronta con problemi concreti. Primo fra tutti, la manutenzione. «Una panchina è viva se qualcuno la ama», ha detto Danilo Pastorelli, raccontando le sue corse settimanali tra pulizie e restauri. E c’è chi, come Valentina Milanta a Bernate Ticino, non ha mollato nemmeno davanti ai vandalismi ripetuti: «Tre volte distrutta, tre volte risorta».

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Non meno importante il tema delle panchine non ufficiali, nate sull’onda del successo ma spesso in violazione del design registrato dalla Fondazione. L’avvocata Desirée Gaspari ha illustrato gli sforzi legali per tutelare l’identità del progetto, senza mai perdere di vista il dialogo: «Molti semplicemente non conoscevano BBCP. La sensibilizzazione è la chiave».

 

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Spazio anche alla creatività con il lancio della nuova Art Challenge, concorso che invita chiunque a reinterpretare il mondo delle panchine giganti. E poi beneficenza, con i fondi raccolti da BBCP per progetti sociali, scuole e associazioni, inclusa la realizzazione delle “Small Bench”, panchine normali ma dense di significato, dedicate a temi sensibili come i disturbi alimentari (in collaborazione con Filolilla) e l’epilessia (con Lice).

 

L’entusiasmo è esploso nella piazza Trento e Trieste, dove il Big Bench Summer Party ha chiuso la giornata tra street food, musica e firme sui passaporti BBCP. Protagonisti, anche i bambini delle associazioni Sicomoro e Pro Sanctitate, autori del colorato poster dell’evento: il futuro che si siede accanto al presente.

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Il Big Bench Community Project non è solo un’iniziativa turistica. È una filosofia. È il racconto, asse dopo asse, di un’Italia che non si arrende allo spopolamento dei borghi, che crede ancora nella forza di una vista panoramica per cambiare prospettiva, nel valore di un gesto collettivo per ricucire il tessuto sociale.

 

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E in un mondo che corre, queste panchine giganti ci obbligano a fermarci, guardarci attorno, riscoprire l’inutile bellezza di ciò che ci circonda. A sentirci piccoli, sì. Ma per guardarci dentro meglio. E per tornare, ogni tanto, a sognare in grande.

 

Deborah Serratore

 

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