Il 31 luglio 2025 Roberto Occhiuto non ha convocato una conferenza stampa, non ha scelto i marmi istituzionali né i microfoni ufficiali: ha preferito la luce blu dei social. In un video curato nei toni e nei tempi, ha annunciato le sue dimissioni da presidente della Regione Calabria, trasformando un atto politico in un gesto mediatico. Un addio solo apparente, perché poche ore dopo sarebbe arrivata anche la notizia della sua ricandidatura. Così, più che una rinuncia, è sembrata la prima mossa di una campagna studiata al millimetro: la narrazione del “riscatto calabrese” tornava in scena, con il suo protagonista pronto al bis.
La parabola di Occhiuto è la versione aggiornata di un modello ormai consolidato: quello della leadership personalizzata, dove l’uomo e il messaggio coincidono, e la comunicazione diventa il vero terreno di potere. Dall’immagine dell’uomo solo contro il sistema alla costruzione di un linguaggio emozionale che enfatizza i successi e scompare le crepe, tutto sembra rispondere a un copione ben scritto. In fondo, la politica contemporanea non cerca più la verità: cerca coerenza narrativa. E in questo, il presidente calabrese è un regista abile.
Eppure, dietro il racconto patinato di un Sud che si rialza, i numeri restano ostinatamente refrattari alla suggestione. La Calabria continua a contare tra le regioni con più alta incidenza di lavoro irregolare e precarietà, con giovani e donne doppiamente penalizzati da età e genere. Secondo l’ISTAT la popolazione è in costante calo, mentre la SVIMEZ prevede, entro il 2050, la perdita di un quinto degli abitanti: un’emorragia demografica equivalente alla scomparsa simultanea di Reggio, Catanzaro e Cosenza.
Sul fronte sanitario, i miglioramenti ci sono, ma restano al di sotto della sufficienza. L’assistenza distrettuale totalizza appena 40 punti su 60, e un calabrese su quattro è costretto a curarsi altrove, con oltre 304 milioni di euro spesi in un solo anno per la mobilità sanitaria passiva. Il tanto annunciato “cambio di rotta” nella sanità commissariata si è rivelato più slogan che realtà, e la promessa di autonomia amministrativa si scontra con un dato imbarazzante: la Regione è tra le ultime in Italia per capacità di attuazione del PNRR, con appena il 23,5% dei progetti avviati, contro il 65,5% dei Comuni calabresi.
Eppure, il 6 ottobre 2025, Occhiuto ha vinto di nuovo. Con il 57% dei voti ha distanziato nettamente Pasquale Tridico, candidato del campo progressista, che si è fermato al 41%. L’affluenza, però, è scesa al 43,14%, segno che più della metà dei calabresi ha scelto il silenzio. È come se il consenso si fosse trasformato in un atto di fede, e l’astensione in un gesto di resa.
C’è però una nota che fa eccezione al coro regionale: a Reggio e provincia l’affluenza è risultata leggermente più alta della media. Nella Città Metropolitana ha votato il 44,94% degli aventi diritto — dato in linea, e persino un soffio sopra, al 44,64% del 2021 — seconda provincia per partecipazione dopo Catanzaro (45,54%). Un piccolo scarto, ma significativo se confrontato con il 43,14% regionale: qui la politica è rimasta un po’ più “presente” e contendibile, complice anche una campagna molto identitaria e la corsa serrata ai seggi della Circoscrizione Sud.
Dentro questa cornice si inserisce anche la “Vittoria di Palmi”: la città porta in Consiglio due consiglieri di peso e di schieramenti diversi, a conferma di un radicamento trasversale. Entrano Giuseppe Ranuccio (PD), forte di oltre 10.600 preferenze, e viene riconfermato Giuseppe Mattiani (Lega) con più di 12.600 consensi: Palmi sarà rappresentata sia in maggioranza sia all’opposizione, con un profilo istituzionale che promette di contare nei dossier territoriali.
In questa apparente contraddizione si cela la chiave del fenomeno: come può un governo regionale con risultati così deludenti conservare un’immagine vincente? La risposta sta nella strategia comunicativa, in quel marketing politico che seleziona accuratamente ciò che mostra, amplificando ogni segnale positivo e dissolvendo le criticità nel rumore di fondo. È la retorica dell’assedio: il leader si presenta come vittima del sistema, ma anche come suo unico salvatore. È la storia di un uomo contro tutti, e al tempo stesso di tutti in lui.
Ma ogni narrazione, per quanto efficace, si misura sul campo della realtà. Quando la distanza tra comunicazione e vita quotidiana diventa troppo ampia, non resta solo delusione: cresce la sfiducia, si indebolisce la partecipazione, e la democrazia si fa fragile. Perché un popolo che smette di credere alle parole non smette solo di ascoltarle: smette anche di parlare.
La Calabria del 2025 è dunque il laboratorio di un paradosso nazionale. Vince chi sa raccontarsi meglio, non chi risolve di più. E così, mentre i dati continuano a descrivere una regione che perde popolazione, opportunità e fiducia, la politica scopre che il consenso non nasce dai risultati, ma dalla capacità di trasformare la sconfitta in sceneggiatura. La vittoria di Occhiuto, allora, non è solo politica: è la vittoria del racconto. Ma un racconto, per restare credibile, ha bisogno di realtà. E la realtà, prima o poi, chiede il conto.
Deborah Serratore