La crudeltà del bullismo e la solitudine dei ragazzi

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“Stavano solo scherzando”, i compagni di scuola di Paolo, quando lo sfottevano. Sono solo degli sfottò, che sarà mai. Bisogna stare allo scherzo, bisogna avere la pelle dura. Bisogna capire che ci sono persone con cui si può scherzare e altre no: nel mondo dei “normali” si dice così, per sdrammatizzare episodi che invece fanno male all’anima. Ma non tutte le anime reggono. Non tutte le fragilità sopportano il peso dell’ironia crudele che si ripete, giorno dopo giorno.

 

A Paolo, 14 anni, il marchio dell’emarginazione è rimasto cucito addosso fino all’ultimo giorno. Si è tolto la vita a Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina, poche ore prima di tornare a scuola. Una scuola che per lui non era più luogo di crescita, ma teatro di esclusione e di ferite invisibili.

 

Il bullismo non è soltanto una spinta, uno zaino rovesciato, un insulto gridato nel corridoio. È anche lo sguardo che non ti cerca mai, la battuta che ti mette alla berlina, l’invito che non arriva. È il mormorio che ti segue fino a casa, oggi amplificato da chat e social, dove l’umiliazione resta scritta e continua a bruciare. È questo il meccanismo che, lentamente, isola e logora, fino a convincere chi lo subisce di non valere più nulla.

 

I numeri aiutano a capire l’ampiezza di questa ferita collettiva. Secondo l’ISTAT, nel 2023 il 68,5% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni ha dichiarato di aver subito almeno un episodio di bullismo o esclusione, e oltre il 21% lo ha vissuto in modo ripetuto, più volte al mese

https://www.istat.it/comunicato-stampa/bullismo-e-cyberbullismo-nei-rapporti-tra-i-ragazzi-anno-2023.

Non parliamo quindi di casi isolati, ma di una realtà diffusa. Più della metà dei ragazzi racconta di aver ricevuto offese, l’11% ha subito minacce fisiche, il 43% è stato emarginato almeno una volta. E tra chi ha solo 11 o 12 anni, la vulnerabilità è ancora più forte: quasi un quarto subisce episodi ricorrenti di bullismo, un dato che fa rabbrividire

https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/06/Stat-today_Bullismo-e-cyberbullismo-nei-rapporti-tra-i-ragazzi.pdf.

 

 

I maschi riportano più insulti frequenti (16% contro il 12,3% delle femmine), mentre le ragazze vivono con maggiore frequenza l’esclusione sociale sistematica: oltre il 12% segnala episodi di isolamento ricorrenti. Tra i ragazzi stranieri, poi, il quadro è ancora più allarmante: il 26,8% denuncia atti vessatori più volte al mese, con punte del 29% tra i minori di origine rumena

 

https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/06/Stat-today_Bullismo-e-cyberbullismo-nei-rapporti-tra-i-ragazzi.pdf

 

E poi c’è il lato oscuro del web: il 34% degli adolescenti dichiara di essere stato vittima di cyberbullismo. Per alcuni è un episodio occasionale, per altri una persecuzione quotidiana: l’8% dei ragazzi confessa di subire offese online più volte al mese. Non si tratta solo di scherzi crudeli, ma di violenze psicologiche che possono spezzare identità fragili e in formazione.

 

Dentro queste percentuali ci sono volti, nomi, vite. C’è Paolo, che forse ha atteso invano una mano tesa. C’è la ragazza esclusa dal gruppo della classe, il ragazzo deriso per il suo accento, chi viene colpito per il proprio corpo, per l’orientamento, per il silenzio. Il bullismo è spietato perché colpisce ciò che sei, non ciò che fai. In fondo, in ogni classe c’è sempre un ragazzo o una ragazza che resta indietro, che non viene invitato, che viene ignorato o preso di mira. E forse anche noi, nelle nostre vite, abbiamo escluso qualcuno, o abbiamo riso di qualcuno diverso da noi. Perché nel mondo vige la legge non scritta del più forte, del “normale” che giudica o scarta ciò che appare strano, anormale, diverso.

 

La scuola dovrebbe essere rifugio, ma troppo spesso diventa specchio della crudeltà sociale. Gli insegnanti non sempre hanno gli strumenti per cogliere segnali silenziosi: un voto che crolla, una presenza che si dirada, un sorriso che scompare. Manca l’ascolto, manca la formazione emotiva, mancano figure di supporto. Ma manca anche, a volte, la vocazione. Non bastano cattedre occupate: servono adulti capaci di riconoscere l’ombra dietro gli occhi di un alunno, di trasformare la classe in comunità, non in arena.

 

Il dolore per Paolo non può essere archiviato come un fatto di cronaca nera. Deve restare come monito. Perché ogni volta che un ragazzo si spegne sotto il peso del bullismo, non è solo la sua vita a interrompersi: è una sconfitta di tutti.

 

Se davvero crediamo che la scuola sia un luogo di crescita, dobbiamo ridisegnarla: con più educazione all’empatia, più spazi di parola, più psicologi, più progetti di prevenzione. E con insegnanti che vedano nel loro mestiere non un’occasione per ottenere il posto fisso, ma una responsabilità morale.

 

Paolo non tornerà, ma il suo silenzio continua a gridare. E ci chiede di non lasciare mai più soli i ragazzi quando il mondo intero sembra voltare lo sguardo. Questo grido ci ricorda che lo sfottò non è mai innocuo, che lo sfottò può uccidere. Ma tanto, per il mondo dei normali “stavano solo scherzando”.

 

Deborah Serratore